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SONO TUTTE BELLE LE MAMME DEL MONDO – quando l’arte si interroga sulla perdita della mamma

By 8 Maggio 2017Agosto 3rd, 2017CRAMUM

In occasione della festa della mamma condividiamo il testo critico “SONO TUTTE BELLE LE MAMME DEL MONDO – Preghiera laica per la piccolezza umana” di Sabino Maria Frassà alla mostra “Morte di una stella e altrove” di Eracle (Fabio) Dartizio, presso lo Studio Museo Francesco Messina nel gennaio 2016 e curata dallo stesso Frassà. Il testo critico è stato infine incluso nella pubblicazione “Morte di una stella e altrove” nella Collana del Comune di Milano “La scultura e i suoi temi” a cura di Maria Fratelli. La mostra fu promossa da CRAMUM all’interno del suo programma di valorizzazione delle eccellenze artistiche in Italia: Eracle (Fabio) Dartizio fu infatti tra i finalisti del premio cramum 2014.


SONO TUTTE BELLE LE MAMME DEL MONDO

Preghiera laica per la piccolezza umana 

[fblike action=”like” font=”lucida+grande” colorscheme=”light”] L’universo sta morendo. Anche i cieli, dopo di noi, scompariranno.
L’uomo è sempre più consapevole di ciò. E’ passato nei secoli dal credersi centro perpetuo dell’Universo alla consapevolezza della propria piccolezza e temporaneità. Cosa ci fa comprendere meglio questo essere finiti, se non la perdita della mamma? Nella morte dei propri genitori si vede la propria morte. E allora toglie il respiro la mancanza di quel sentimento, di quel grande tesoro di luce e bontà, che custodisce un bene profondo, il più sincero dell’umanità [1]
 

Eracle (Fabio) Dartizio ci parla di questo e della ricerca di un “altrove”, di un rifugio
o di una speranza. Alla Chiesa di San Sisto (oggi Studio Museo Francesco Messina) l’artista rappresenta la sua preghiera (laica) per l’uomo moderno, sempre più consapevole della propria piccolezza di fronte all’universo, al mondo e alla Storia Umana. Oggi tutto passa sopra l’uomo comune, che si sente spesso impotente di cambiare anche solo la propria esistenza. Le guerre “moderne” sono sempre più lontane dall’uomo: alle armi classiche, si sono affiancate quelle economiche e della comunicazione; agli stati le lobby e i poteri forti.
 Tale ammissione di finitezza, non può che portarci a riflettere su cosa siamo, sulla materia di cui siamo fatti. Non siamo altro che una forma particolare
di materia, dotata della consapevolezza di sé.

Dettaglio di Supernova, Eracle (Fabio) Dartizio nella mostra “Morte di una stella e altrove” a cura di Sabino Maria Frassà

La consapevolezza di ciò non si amplia però al punto  di permetterci di comprendere l’altro e il mondo nella sua totalità. La consapevolezza è di noi stessi, della nostra materia ed è quindi la potenza e il limite stesso dell’uomo. 
Così non stupisce che proprio la materia e il pensiero siano gli elementi cardine della ricerca artistica di Eracle (Fabio) Dartizio. La materia non è strumento, ma soggetto e contenuto dell’arte. La ricerca della materia è la ricerca del pensiero, della comprensione degli altri e del mondo. Lo stesso manufatto, elaborato con materiali diversi, si appropria di significati diversi: non esiste l’identico, se esistesse l’uomo riuscirebbe a non essere solo. Esiste al massimo il simile e così Eracle non elabora mai pezzi unici, sono sempre almeno due pezzi: due supernova, due firmamenti, tre meteoriti.

Cosa c’è di più simile a noi se stessi se non la propria mamma, chi ci ha cresciuti e dato l’avvio alla nostra esistenza e autodeterminazione? La mamma rappresenta quel simile non identico, quelle radici da cui nasce qualcosa
di diverso “Ogni vostro bambino, quando un uomo sarà, verso il proprio destino, senza voi se ne andrà”.
In questa preghiera laica per la perdita di chi ci era più simile, per la morte di una parte di noi, non c’è spazio però per le immagini. La preghiera di Eracle Dartizio non sembra avere alcuna Madonna in ascolto. L’uomo è di fronte alla materia ed è da solo. Tutto ciò che lo circonda è materia, persino il cielo, che noi carichiamo spesso di significati salvifici. Come ogni materia anche il cielo si trasformerà, collasserà, morirà.
Ai cieli di Eracle (Fabio) Dartizio non ci si può quindi aggrappare.
 L’artista non può che rappresentare la morte del cielo, quel riposo eterno a cui l’universo va incontro. Le stelle di Dartizio non sono 
punti di luce e calore, ma corpi che collassano, precipitano in una sorta di giudizio universale cosmico. I leggerissimi cieli sono appesi e fanno perno su stelle supernova, ovvero su stelle giunte alla morte, all’implosione.

Eracle (Fabio) Dartizio

Lo scontro tra cieli è reso ancora più forte dalla scelta dei materiali: supernova è fatta realizzata grazie all’accostamento tra il materiale più duro al mondo (nitruro di boro cubico) e quello più leggero (super organza giapponese).
 Dov’è quindi la speranza contenuta nel titolo della mostra?
 Dov’è e cos’è quell’“altrove”?
 Eracle (Fabio) Dartizio propone di ricercare quell’altrove e quella speranza dentro di noi, piuttosto che sopra di noi. L’unica luce della mostra è così data da una pozzanghera, posta al centro della Chiesa (non al posto dell’altare).
 L’artista cerca di ribaltare i punti cardinali, vede nel cielo la condanna alla morte, e nella terra la vita. Con le pozzanghere si cerca la verità “nella” terra: l’artista ha scavato nella terra delle buche, creando delle pozzanghere, che ci mostra non solo dall’alto, ma anche dal basso. Scendendo nella cripta della chiesa si può quindi veder (per la prima volta?) una pozzanghera dal basso. E’ quindi la pozzanghera, la terra a dare luce al mondo, siamo noi con le nostre azioni a doverci elevare al Cielo, non è il Cielo lo strumento per raggiungere la speranza (altrove). Proprio nella pozzanghera il cielo e noi ci riflettiamo e possiamo (ri)vedere quel simile perso, la cui ricerca è alla base della nostra esistenza. Questa preghiera all’uomo, alle proprie capacità, può far scorgere in Eracle Dartizio un intellettuale-eclettico-scienziato che elogia la ragione pura. 
Ma se Eracle è un illuminista, è un illuminista contemporaneo, nostalgico, consapevole dei limiti del pensiero umano, che in fondo cerca comunque di ricongiungersi con la propria mamma … in un altrove.

Sabino Maria Frassà, 12 gennaio 2016

TUTTE LE MAMME [1]
 

 Donne! Donne! Donne! Che l’amore trasformerà.

Mamme! Mamme! Mamme! Questo è il dono che Dio vi fa.

Tra batuffoli e fasce mille sogni nel cuor.

Per un bimbo che nasce quante gioie e dolor.

Mamme! Mamme! Mamme! Quante pene l’amor vi da.

Ieri, oggi, sempre, per voi mamme non c’è pietà.

Ogni vostro bambino, quando un uomo sarà,

verso il proprio destino, senza voi se ne andrà!

Son tutte belle le mamme del mondo

quando un bambino si stringono al cuor.

Son le bellezze di un bene profondo

fatto di sogni, rinunce ed amor.

È tanto bello quel volto di donna

che veglia un bimbo e riposo non ha;

sembra l’immagine d’una Madonna,

sembra l’immagine della bontà.

E gli anni passano, i bimbi crescono,

le mamme imbiancano; ma non sfiorirà la loro beltà!

Son tutte belle le mamme del mondo

grandi tesori di luce e bontà,

che custodiscono un bene profondo,

il più sincero dell’umanità.

Son tutte belle le mamme del mondo ma,

sopra tutte, più bella tu sei;

tu, che m’hai dato il tuo bene profondo

e sei la Mamma dei bimbi miei.

[1] da Tutte le mamme, composto da Umberto Bertini ed Eduardo Falcocchio, interpretato per la prima volta da Giorgio Consolini e Gino Latilla nel 1954