“Qual è il confine tra libertà di espressione e diffamazione? E in Politica?”
.Il noto avvocato penalista e collezionista Giuseppe Iannaccone aderisce e partecipa con una propria riflessione alla Campagna di sensibilizzazione “LA LIBERTA’ DI ESPRESSIONE NON E’ UNO SCHERZO“, ideata da Sabino Maria Frassà e Nicla Vassallo per il think-tank “ama nutri cesci” al fine di stimolare una piena consapevolezza e comprensione del diritto di espressione, sovente frainteso. La riflessione dell’avvocato Iannaccone giunge dopo altre importanti riflessioni di politici, giuristi, filosofi e intellettuali su aspetti filosofici (Nicla Vassallo e Sabino Frassà), Costituzione (Gherardo Colombo), vaccini (Enrico Ferrazzi), cyberbullismo (Elena Ferrara) e riforme (Monica Cirinnà).
Come noto, l’art 21 della Costituzione prevede che tutti abbiano diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Tale fondamentale disposizione riconosce quindi la libertà di esprimere le proprie idee e di divulgarle ad un numero indeterminato di destinatari. Dal momento che la circolazione delle idee è il presupposto della democrazia, la libertà di manifestazione del pensiero è da sempre considerata, dalla stessa giurisprudenza costituzionale, la “pietra angolare” del sistema democratico (BIN – PITRUZZELLA, Diritto Costituzionale, 2016, Giappichelli, p. 575).
Va da sé che il diritto di libera manifestazione del pensiero, nella particolare accezione del diritto di critica, non può oltrepassare determinati limiti ben delineati dalla giurisprudenza, in quanto, in caso contrario, il soggetto che esprime tali opinioni potrebbe rispondere del reato di diffamazione, come previsto dall’art. 595 del codice penale.
In particolare, i limiti individuati dalla giurisprudenza sono costituiti, tra l’altro, dal rispetto della verità e della cosiddetta continenza espressiva.
Anzitutto, la critica deve riferirsi ad un fatto storicamente vero o ad un evento realmente accaduto. Ne consegue, quindi, che tutte le volte in cui la critica prescinde del tutto da un fatto storico o da una condotta, tale critica trasmoda in un attacco personale, portato direttamente nella sfera personale dell’offeso.
L’altro limite fondamentale al diritto di critica, come si diceva, è costituito dalla cosiddetta “continenza espressiva”. In sostanza, la critica deve concretizzarsi in un dissento motivato e in valutazioni di regola misurate, non lesive dell’altrui dignità morale e professionale.
In questo senso, è molto importante valutare il contesto in cui si realizza la condotta e verificare se – in quello specifico contesto – i toni utilizzati, pur aspri e forti, non siano gravemente infamanti e gratuiti, ma siano, invece, comunque pertinenti al tema in discussione.
La questione si pone in particolare nell’ambito della critica politica, attesa l’estrema opinabilità degli argomenti che la sostengono. A tal riguardo, la giurisprudenza ammette che il diritto di critica possa anche esprimersi in modo aspro, pungente, demolitore e feroce.
Non solo. Le argomentazioni espresse, purché argomentante e ragionate, possono anche non essere condivise o condivisibili da parte di tutti: la Suprema Corte ha infatti osservato che parlare, soprattutto in politica, di “critica obiettiva” è un “controsenso” (Cass. Pen., Sez V, n. 1914 del 2010. ). Ciò che invece è necessario è che le espressioni utilizzate in politica non siano gratuitamente volgari (Cass. Pen., Sez V, n. 1914 del 2010). A quest’ultimo proposito, è appena il caso di osservare che non può in nessun caso essere tollerata una degenerazione della “lotta politica” in espressioni pesantemente e platealmente sconvenienti e volgari, trasmodando così in una incivile denigrazione.
[pullquote1] IL CASO – Suprema Corte di Cassazione nel 2012: erano stati rivolti a una donna sindaco apprezzamenti a sfondo sessuale contrari al comune senso di buon costume (“principessa sindachessa del castello da non confondere con quella della sindachessa sul pisello”). Tali parole sono state giudicate dalla Corte di Cassazione diffamatorie, in quanto offensive, in base al significato che queste vengono oggettivamente ad assumere nella comune sensibilità (Cass. Pen., sez V, n. 10393 del 2012). [/pullquote1]In questo senso, non vi è dubbio che l’uso di un’espressione volgare rappresenta il frutto di una scelta, che inevitabilmente risulta orientata dalla intenzione di offendere e denigrare il destinatario, colpendolo in una dimensione che, con il pubblico e con la dimensione politica, nulla possono avere a che fare (Cass. Pen., sez V, n. 8678 del 2003).
Il punto delicato è ovviamente capire (salvo i casi “lampanti”) quanto un’espressione possa essere effettivamente ritenuta in concreto “volgare”. A tal riguardo, è difficile individuare dei “paletti” predeterminati, trattandosi di una valutazione che, necessariamente, è affidata ad un giudizio discrezionale del giudice avuto riguardo al singolo caso concreto. A ciò si aggiunga che, in senso lato, può ritenersi “volgare” ciò che è in contrasto con il “buon costume” (cui fa riferimento lo stesso articolo 21 Cost.), concetto che, gioco forza, è quanto mai elastico, legato alla evoluzione dei costumi (BIN – PITRUZZELLA, op. cit.).
Alla luce di quanto precede, la critica (in particolare in un contesto politico) deve essere sempre “agganciata” ad effettivi dati fattuali e deve essere argomentata e ragionata, ancorché le espressioni utilizzate possano non essere condivise da tutti. La “lotta politica” può condurre all’utilizzo di espressioni anche feroci, ma mai gratuitamente volgari. È dunque fondamentale il rispetto di un minimo etico di condotta, al fine di mantenere la dialettica entro ragionevoli ambiti di rispetto e vivere civile. In caso contrario, il confronto tra le diverse idee degenererebbe inequivocabilmente in un gioco al massacro (BERTONI, Diffamazione a partito politico, diritto di querela e libertà di critica, in Cass. Pen. 1984, p. 1273 ss).
Testo di Giuseppe Iannaccone per Ama Nutri Cresci, 11 luglio 2017
Revisione editoriale di Sabino Maria Frassà, 14 luglio 2017
Immagine di copertina di H.H Lim, Hula Hoop code XZ3, mixed media on canvas, 127cm x 135cm, 2017 – Courtesy by Tang Contemporary Art
Giuseppe Iannaccone, nato ad Avellino il 25 novembre 1955, dopo un breve periodo di collaborazione con altro professionista durante gli studi universitari si è dedicato in via autonoma alla libera professione, fondando nel 1982 lo Studio legale da lui oggi presieduto. La sua formazione professionale è maturata inizialmente nell’ambito del contenzioso e della consulenza societaria e fallimentare per poi progressivamente estendersi nel campo del diritto penale commerciale, dove ha maturato una vasta esperienza nei processi per reati fallimentari, societari e fiscali. Ha inoltre maturato nel corso degli anni una vasta esperienza nell’assistenza agli organi sociali delle società in stato di crisi e nelle operazioni di ristrutturazione del debito.
E’ noto anche per la suo impegno a sostegno alla cultura e all’arte contemporanea, tra cui la formazione della Collezione Giuseppe Iannaccone.