In occasione della giornata contro la violenza sulle donne (25 novembre) Sabino Maria Frassà e Nicla Vassallo riflettono sull’origine della violenza contro le donne insieme a Raffaella Ferrari, Direttrice Socio Sanitario dell’ASST Lariana dal 2019.
Tutta questa aggressività contro le donne non lascia dubbi, le donne fanno paura, ma perché? Perché tanti uomini provano così tanto disagio e paura delle donne da non riuscire ad avere un rapporto che non sia basato sulla violenza e sull’imposizione? Tutta colpa degli uomini?
Più che di paura delle donne sarebbe forse più opportuno introdurre il concetto di “paura del femminile”. L’origine di tale paura nasce quando lo sviluppo di ciascuno di noi (uomo-donna) è incompleto. Fa parte dello sviluppo di tutti gli esseri umani il distacco dalla dipendenza materna, dalla cosiddetta “grande madre”, che, se da un lato garantisce e fornisce tutto ciò di cui una persona ha bisogno, dall’altro rappresenta la gabbia, il precostituito, da cui è necessario affrancarsi per formare e maturare il proprio io.
Il mancato o incompleto distacco dalla grande madre rischia di generare nell’adulto frustrazione e incomprensione per tutto ciò che è diverso, per tutto ciò che non è percepito come confortante. Nel caso maschile, l’uomo adulto immaturo, che non ha completato il suo percorso di crescita e di separazione, tende facilmente a proiettare sull’altro da sé, sul diverso le sue paure più recondite o in alternativa aspettative salvifiche: le donne vengono spesso identificate come streghe o fate e non compagne (di vita). A questa parcellizzazione della visione della donne si accompagna un’inevitabile frustrazione, che può portare l’uomo non maturo a comportamenti anche violenti.
Oltre agli aspetti più propriamente psicologici vanno poi considerati anche quelli sociali.
Se per gli uomini socialmente è cambiato relativamente poco nell’ultimo periodo storico, per le donne sono avvenuti cambiamenti enormi in un tempo relativamente breve.
All’uomo più o meno “immaturo” e non compiuto si affianca così spesso una donna emancipata che non accetta ed è incapace di essere né fata né strega, né madre né figlia obbediente.
Del resto anche laddove l’uomo avesse compiuto con successo il suo percorso di individuazione trova una compagna altra da sé a cui non basta più un “fallo fecondante”. La donna ricerca sempre più una persona che sia potente spiritualmente, intelligente, forte, coraggiosa, responsabile e disponibile. Ogni giorno al lavoro l’uomo può essere esposto quindi al confronto non solo con altri uomini, ma sempre più frequentemente con donne che espone a profondi cambi paradigmatici. La mancata assimilazione socio-culturale di questa trasformazione non può che acuire l’antagonismo di genere, fatto che nelle forme più estreme può portare anche a forme di violenza (non solo fisica) contro le donne.
La violenza sulle donne aumenta anche perché in passato la donna raramente aveva un chiaro ruolo attivo sociale al di fuori del focolare domestico. Fino a non molti decenni fa uomini immaturi incontravano donne sottomesse, che subivano il rapporto coniugale come un ergastolo, senza possibilità di grazia. Oggi invece tutti gli uomini – immaturi e maturi – incontrano sempre più spesso donne che non solo vivono, ma esigono una vita degna e piena a 360° prima di tutto per se stesse.
Emerge così il vero problema di fondo: l’accettazione del femminile che è presente in ogni essere umano. Perché a ben riflettere il lato femminile è oggi represso dalla società, non solo dagli uomini, ma anche da molte donne: siamo tutti uomini che reprimono e negano la dovuta introspezione, la parte femminile presente in ciascuno di noi.
Con l’inarrestabile ascesa e affermazione del ruolo della donna nella società (a ricoprire ruoli e incarichi storicamente appannaggio maschile) la speranza è che le nuove generazioni nascano in un contesto socio culturale che parta dal presupposto che donne e uomini hanno stesso valore e possibilità. E visto che ciò è inarrestabile e sotto l’occhio di tutti, i nostri figli forse saranno diversi e migliori di noi.
Raffaella Ferrari, nata ad Alessandria il 15 marzo 1962 si trasferisce a Milano per gli studi universitari. Medico Psichiatra e psicoterapeuta ha svolto attività clinica in strutture private e pubbliche. Dal 2007 nella ex Asl di Milano si è dedicata all’ambito gestionale ed organizzativo dei servizi di Salute Mentale e acquisisce una formazione nell’ambito del management in campo sanitario. Per anni è stata a capo della UOC Salute Mentale e Dipendenze dell’ATS della Città metropolitana di Milano con mansioni di Governance nel Sistema dei servizi della Psichiatria , Neuropsichiatria e Dipendenze. Dal 2019 è la Direttrice Socio Sanitario dell’ASST Lariana.
Sposata, madre di due figli di 14 e 9 anni, vive a Milano coltivando nel tempo libero la passione per la musica e l’arte di cui apprezza la autenticità comunicativa. Appena può fugge a Lipari per ritrovare energie.