Per Pasqua è sembrato naturale raccontare “Il sinonimo di perché” opera dell’artista italo-israeliana Flora Deborah, già finalista del Premio Cramum nel 2016.
La quarantena e le condizioni in qualche misura estreme che stiamo vivendo sono alla base di questa performance – ancora in essere – avviata dall’artista quando a inizio marzo è ritornata a Milano con l’ultimo aereo possibile da Tel Aviv – dove vive da alcuni anni – per stare vicino alla propria famiglia durante la quarantena da coronavirus.
Solitamente il lavoro di questa artista unisce la scultura alla performance, ma a Milano si è ritrovata senza né materiali né mezzi. Come ha sottolineato il curatore Sabino Maria Frassà, che per primo ha avuto la fortuna e modo di conoscere questo lavoro: <<Flora Deborah dopo l’installazione “I’m too old to float” presentata l’anno scorso da Ventura Centrale nella mostra “Una stanza tutta per me”, torna a riflettere sulla nostra identità. “Il sinonimo di perché” è un lavoro coerente e maturo che dimostra come nell’arte spesso valga il detto per aspera ad astra: Flora Deborah reagisce infatti alla condizione estrema che stiamo tutti vivendo attraverso una performance artistica povera, aspra e intensa alla ricerca della nostra più intima identità, di chi siamo realmente, per poter poi essere veramente “liberi”. In questo lavoro si è liberata di ogni orpello e rimane un’essenza enigmatica, scarna che colpisce lo stomaco con riferimenti tanto alla vita – l’uovo – quanto agli ospedali – tubi – e alla morte – il sale. L’artista da settimane sta così portando avanti una riflessione per gesti su cosa sia importante nella vita. La risposta non è così semplice perché significa ricercare quel sinonimo, quell’essenza a volte irraggiungibile, partendo da una riflessione sulla propria famiglia e su tutti quei legami identitari che costruiscono il nostro fragile “io”>>.
La performance si sta concludendo con la composizione di calligrammi a forma di uova scritti nelle lingue dell’artista: inglese, italiano, francese ed ebraico che si fondono in un lessico personale e familiare. Queste poesie sono solo l’ultimo tassello, la ponderazione di una performance on-going avviata dall’artista dalla separazione degli gli elementi vitali dell’uovo, simbolo di vita e del mistero generativo. Tali elementi sono poi stati lavorati al fine di essere conservati, perché nulla in un momento come questo può essere sprecato: il nucleo (tuorlo) è stato lavorato con il sale, riprendendo vecchie tradizioni per la conservazione dei cibi, e l’albume messo in tubi di plastica sigillati. Una volta separati e trasformati l’artista ha ricomposto questi elementi soffiando intorno al tuorlo essiccato l’albume prima conservato. Come nota ancora Frassà <<Il risultato è una nuova impossibile vita, una “creazione” che cerca di tornare all’origine ma è qualcosa di diverso. “Il sinonimo di perché” in fondo è un ritratto di chi siamo noi, di chi saremo una volta finito questo dramma della pandemia: saremo, come sempre nella vita, noi stessi ma diversi, ricomporremo i cocci e le asperità, trasformandoci per essere qualcosa di diverso… “migliore” sembra chiedersi l’artista>>.