Non è facile rileggere oggi, dopo gli attentati in Spagna e in Finlandia, le proprie parole di un anno fa (19 agosto 2016) su tolleranza e islam. Semplicemente non ci sono parole e ogni tentativo di lucidità e onestà intellettuale necessariamente vacilla. Il 19 agosto 2016 ci interrogavamo sulle leggi che limitavano il dress-code in spiaggia: “Lotta al terrorismo, laicità o intolleranza? Non solo Burka, burkini o bikini”. Con tutti i necessari distinguo e con la necessità primaria di sicurezza, che non è prerogativa né di destra né di sinistra, vorremmo ricordare – in primis a noi stessi – quanto dicevamo:
“[…] Fondamentale per uno stato democratico non è quindi il proibire, ma il fornire strumenti di conoscenza, emancipazione e libertà non solo alle donne, ma a tutte le nuove generazioni, che più delle altre patiscono la crisi economica-culturale-ideologica dei giorni d’oggi. Tra questi strumenti sarebbe da ripensare il diritto al lavoro (anche per gli immigrati/profughi) e all’educazione civica nelle scuole. “
Nicla Vassallo & Sabino Maria Frassà per il Think-Tank Ama Nutri Cresci
Milano – Genova
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Nicla Vassallo e Sabino Maria Frassà per “ama nutri cresci” si interrogano sulla possibilità e opportunità che una legge di uno Stato democratico possa regolamentare e/o vietare specifici abbigliamenti, perché ostentazione di appartenenza religiosa e mancata corrispondenza con i “nostri” valori occidentali.
Un conto è perseguire e combattere per una visione laica della società per cui nei luoghi pubblici non è possibile palesare il proprio credo, altra cosa è limitare specifiche minoranze.
Compito dello Stato democratico è la tutela delle libertà del singolo all’interno di un’equilibrata convivenza sociale. Ne consegue che un abbigliamento dovrebbe teoricamente essere sempre consentito allorché non metta in pericolo l’altrui sicurezza né la propria (negando quindi il caso stravagante che un abito induca la morte/il suicidio di chi lo indossa). Lo stesso svestirsi dei naturisti è del resto manifestazione di un legittimo edonismo e credo di chi lo pratica.
Cercando di capire le motivazioni profonde dietro tali leggi anti-burka/burkini, bisogna prendere in considerazione come l’occidente, messo in pericolo a casa sua, cominci a mal tollerare la mancata reciprocità a livello di diritti nei paesi occidentali e nei paesi di fede islamica (dall’abbigliamento ai luoghi di culto). Secondo tale ottica tali leggi sarebbero quindi “pericolose rappresaglie”, gesti di forza populisti celati da una presunta difesa dei valori dell’occidente.
Del resto, se è vero che esistono valori comuni all’occidente, essi non sono così facili da individuare univocamente. Inoltre è molto difficile storicamente identificare l’occidente a livello intellettuale e religioso: le tre religioni monoteistiche occidentali non si sono disseminate esclusivamente in occidente. La nostra stessa filosofia è cresciuta e passata anche per la Turchia (Aristotele ad esempio ci visse a lungo) in un periodo in cui il credo ufficiale era di matrice politeistica. Perciò, se esistono dei valori comuni, essi sono nati dopo secoli di guerre religiose grazie all’elaborazione filosofica che ha portato al rinascimento italiano da una parte e all’illuminismo francese dall’altro. Infine il vero comune denominatore sembra essere il laicismo, l’imposizione di manifestazioni dell’intelletto diverse e distaccate dalla religione. Il primato del credo lascia spazio a quello della ragione, almeno nella società.
Sarebbe forse più lungimirante che le leggi verificassero se dietro all’abbigliamento delle donne di fede musulmana e non, ci sia una libera scelta o una costrizione e negazione della parità tra i generi. Sarebbe quindi tanto importante quanto impraticabile verificare su quelle spiagge se ogni donna che indossi un burkini o un qualsiasi altro velo sia o meno consapevole e libera di farlo, indagando anche se la scelta è frutto di ignoranza e/o di consapevolezza. Dal momento che in democrazia anche agli ignoranti è dato di esistere, votare e palesare le proprie idee anche se fondate su pregiudizi, la vera urgenza che le leggi dovrebbero affrontare è l’ignoranza.
Fondamentale per uno stato democratico non è quindi il proibire, ma il fornire strumenti di conoscenza, emancipazione e libertà non solo alle donne, ma a tutte le nuove generazioni, che più delle altre patiscono la crisi economica-culturale-ideologica dei giorni d’oggi. Tra questi strumenti sarebbe da ripensare il diritto al lavoro (anche per gli immigrati/profughi) e all’educazione civica nelle scuole. Troppo spesso di fatto affidata solamente all’ora (facoltativa) di religione. Ricordiamoci però che tale comunque preziosa ora in Italia non è una conquista laica, ma frutto del Concordato tra lo Stato Italiano e la Chiesa Cattolica.
Concludendo, le donne dovrebbero essere libere in Italia e nel Mondo di vivere come meglio credono. La vera vittoria non sarà il non vedere burkini in spiaggia, ma il vedere persone (non solo donne) consapevoli, che decidono liberamente di denudarsi, velarsi, negando persino il proprio corpo/genere. Le donne, come gli uomini dovrebbero anche essere liberi di sposare chiunque vogliano (purché maggiorenne e nel pieno delle proprie facoltà). Hamza Roberto Piccardo, fondatore dell’Ucoii (Unione comunità islamiche d’Italia), recentemente ha rivendicato il diritto alla poligamia in Italia dopo l’approvazione sulle unioni civili, anche omosessuali. La risposta potrebbe arrivare persino ad accettare letteralmente la poligamia, intesa come insieme di poliginia e poliandria, purché espressione di un atto consapevole di libera scelta in cui a prevalere non è uno specifico credo, ma un totale rispetto del singolo essere umano, qualsiasi genere sia o si senta.
In copertina “Ancora Istanbul” opera di Emilio Isgrò del 2010
Articolo scritto e pubblicato per la prima volta da Nicla Vassallo & Sabino Maria Frassà, Milano- Genova, 19 agosto 2017