Milano-Genova in vista del 17 maggio 2018,
La parola “diverso” è una parola che sempre più caratterizza il nostro lessico. All’orecchio questa parola richiama spesso un’accezione negativa e l’etimologia non sembra dare molti scampi a tal riguardo: “diverso” deriva infatti dal latino “diversus” che significa “volto dall’altra parte”, “opposto” o “contrario”. Questo aggettivo si usa per indicare ciò che si presenta con un’identità, una natura, una conformazione nettamente distinta rispetto ad altre persone o cose.
Il concetto della diversità non è però un concetto moderno, ma da sempre anche in ambito filosofico è stato oggetto di analisi. In passato tale “categoria” è stata spesso applicata per giustificare la schiavitù come conseguenza di una presunta diversità per natura e/o superiorità di alcuni esseri umani sugli altri. Va poi ricordato come Aristotele sostenesse che le donne fossero “diverse” per natura dagli uomini, riconoscendo a quest’ultimi tutti i pregi in contrapposizione ai difetti propri del “genere” femminile.
Nel XIX secolo John Stuart Mill e sua moglie Harriet Taylor teorizzarono invece l’infondatezza della categoria della diversità, la quale sarebbe anzi mero costrutto umano di ostacolo alla felicità, fine ultimo dell’intera umanità e non solo del singolo essere umano. Questa negazione della categoria di “diverso” è stata poi modulata e assimilata nel XX secolo in modi dicotomici: se da un lato la maggior parte della filosofia femminista ha elogiato la diversità in funzione dell’anti-omologazione e dello sviluppo individuale, alcuni filosofi conservatori come Roger Scruton hanno individuato nella diversità la sanità sociale, senza la quale si sarebbe tutti/e narcisisti – si fa riferimento al noto e contraddittorio Sexual Desire: a Philosophical Investigation.
Ci chiediamo se dopo secoli di discussione non avessero forse ragione i coniugi Mill-Taylor sostenendo che la stessa categoria di “diverso” sia semplicemente errata e generatrice delle principali divisioni sociali. Se ben riflettiamo, tale categoria è la causa di tutte le tragedie storiche del XX secolo. Tutti i regimi per giustificare la propria ragione di esistere hanno adottato e non possono che adottare tale categoria: il nazismo, il fascismo e persino il comunismo hanno infine trovato la propria ragione di esistere nella lotta al nemico, a ciò che era diverso dal proprio dogma. E’ la legittimazione della categoria del “diverso” ad aver permesso letteralmente la “cancellazione”, l’annientamento di tutto ciò che è diverso da me, soprattutto se minoranza inferiore a livello numerico.
Chi adotta la categoria del diverso intesa come esistenza di una gerarchia (addirittura per natura) di un essere umano su un altro o di una “maggioranza” su una minoranza di fatto si batte a favore dell’omologazione. Vorremmo quindi che l’essere umano si liberasse dal bisogno di essere diverso da qualcuno e preferisse l’essere differente, ovvero l’essere distinto da ciò che mi circonda.
Non crediamo che ci siano esseri umani diversi, ma esseri umani “differenti”. Ognuno di noi, dovrebbe pensare per due minuti e parlarsi con onestà, magari guardandosi allo specchio e domandarsi: io a chi sono uguale?
Io sono io, non sono il/i gruppo/i a cui dico di appartenere: che senso hanno le bandiere (di ogni genere, orientamento e/o colore)? Io sono una storia infinita fatta di combinazioni e occasioni, dell’interazione che ho avuto con il mondo esterno e con il tempo vissuto. Io non posso che essere unico e differente da tutti gli altri esseri umani che sono venuti prima e che verranno dopo di me. Se ognuno di noi riuscisse a maturare tale consapevolezza, avremmo un mondo di persone adulte che son state in grado di sviluppare e dispiegare pienamente la propria identità personale. Solo allora proveremmo quella compassione necessaria per comprendere che siamo tutti unici e differenti, ma in ultima istanza profondamente uguali, destinati a condividere la stessa “cella”, la nostra vita, il nostro sapere di essere oggi e aver un tempo limitato da vivere.
Oh mio povero bufalo, mio povero amato fratello, ce ne stiamo qui, entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt’uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia.
Da “Un po’ di compassione” di Rosa Luxembirg, 1917
Questa lettera è stata scritta il 10 maggio 2018, sperando che la giornata internazionale contro l’omofobia (17 maggio) possa esser un volano per una più ampia riflessione sulle discriminazioni di ogni sorta.
In copertina, la scultura di specchi Francesca Piovesan“Dormienti”.