
FORMAE approda a Milano come laboratorio sulla forma viva: Mazzucchelli, Tolomeo, Morella e Gnata mettono alla prova la materia là dove il design — i nuovi forni Expressive e Minimalistic di Gaggenau — cessa di essere pura funzione e si fa domanda etica sulla cura. Realizzata con Gaggenau, Sotheby’s e Cramum, la mostra, racchiusa in un libro d’artista realizzato in XX esemplari, distilla e rielabora i capitoli aperti a Firenze, Napoli e Verona per proporre una mappa coerente, benché plurale, del “gesto formativo”: l’aria che prende corpo, il corpo che diventa arredo, il segno che si fa tatto, il disegno che fende lo spazio. Ne emerge una responsabilità dello sguardo: non limitarsi a consumare forme, ma riconoscere nella forma la promessa — e il dovere — della cura.
Lo raccontiamo attraverso le parole del curatore Sabino Maria Frassà contenuto nel testo critico che accompagna la mostra
FORMAE. La promessa del bello
Sabino Maria Frassà
Cos’è bello? Esiste una forma giusta per ogni cosa?
Interrogativi che si stagliano in un mondo in bilico tra personalismi sfrenati e ricerca di approdi sicuri, che spesso degenerano in fanatismi e totalitarismi, dove si tenta di imporre la propria visione del mondo come unica forma legittima. I nuovi forni di Gaggenau diventano qui scintilla e metafora, luogo di incontro e di dialogo, strumento per mettere insieme la ricchezza della complessità senza mai banalizzarla. In questa prospettiva, FORMAE si configura come una promessa del bello: non risposta definitiva, ma ricerca condivisa di senso, atto di fiducia nella possibilità che la forma continui a rivelarsi.
Così questa mostra, sintesi delle quattro precedenti tappe del progetto sviluppatosi nel corso del 2025 in prestigiosi palazzi storici di Firenze, Napoli e Verona, offre piste interpretative, rivelando come il gesto creativo sia al tempo stesso esperienza sensibile e concetto. La forma non appare qui come mera configurazione esteriore, ma come atto che porta a compimento la possibilità della materia — una trasformazione che è pratica, tempo, cura, responsabilità estetica.
Nel dialogo serrato fra le opere si dispiega un repertorio di risposte formali e poetiche. Mazzucchelli, “sarto dell’invisibile”, lavora la leggerezza come principio strutturale: i suoi gonfiabili trasparenti, da cui si sprigionano forme geometriche, dissolvono la rigidità aritmetica del volume, rendendo lo spazio un organismo dinamico. Tolomeo fa della tessitura un rito della pazienza: la rosa che attende, la sedia-tartaruga sono esercizi di lentezza, in cui il tempo stesso si incarna come valore formale che trattiene ciò che è stato perché lo si possa impiegare nell’oggi. Morella converte il tocco in linguaggio: il Braille Stellato, l’Occhio, il ciclo Raccontami il ritorno trasformano superficie e punto in narrazione, restituendo all’arte la funzione di memoria e la possibilità della prossimità: le sue stelle disordinate svelano forme geometriche e di pensiero universali. Gnata reinventa infine il disegno proiettandolo nello spazio e integrandolo con il contesto.
L’ordito teorico che sorregge la mostra affonda le sue radici nell’eco aristotelica: «ἡ μὲν ὕλη δύναμις, τὸ δὲ εἶδος ἐνέργεια» (Metafisica, IX, 8, 1049b) — la materia è potenza, la forma è atto. Questa massima, lungi dall’essere una citazione erudita, diventa lente ermeneutica: ogni opera rende percepibile il passaggio dalla possibilità al compimento, il modo in cui la materia, attraverso il gesto, si trasforma in identità sensibile. La téchne non è semplice abilità esecutiva, ma conoscenza incarnata che svela e muta; la forma, esito di un movimento teleologico, appare come compimento di ciò che in potenza era già inscritto nella materia. Tale dinamica, tradotta tanto in opere d’arte quanto in elementi di design, prende corpo nelle soluzioni tecniche specifiche dei singoli artisti: Fulvio Morella, che ricostruisce forme archetipiche — cerchi, occhi, triangoli — attraverso una costellazione di stelle ricamate che, in realtà, sono punti Braille, trasposizioni tattili di riflessioni di grandi pensatori; Carla Tolomeo, che plasma “sedute-scultura” tessili, volumetrie imbottite e trame caparbiamente intrecciate a mano, capaci di racchiudere e custodire memorie; Franco Mazzucchelli, che organizza PVC, saldature e camere d’aria in sistemi respiranti, superfici comunicanti che trasformano l’oggetto in processo, facendo dell’arte uno strumento di empatia e relazione; Lorenzo Gnata, che, attraverso un filamento organico, analizza il rapporto tra noi e gli altri, convertendo la linea in architettura e orientamento dello sguardo.
Accanto a questo orizzonte ontologico, le opere proposte aprono la questione estetica: quale rapporto tra soggettività e universalità nel giudizio del bello? La lezione kantiana, nella Critica del Giudizio (1790), rammenta che il giudizio estetico nasce nella sensibilità di chi sente, ma reclama una comunanza, un sensus communis, che lo rende esigente di riconoscimento. FORMAE diventa così il luogo in cui questa dinamica si esercita: le superfici tattili di Morella, le trasparenze di Mazzucchelli, le trame lente di Tolomeo, le invasioni spaziali di Gnata sollecitano risposte intime — stupore, commozione, dubbio — ma al contempo offrono strutture e figure condivisibili, terreno di discussione e dialogo.
L’universo evocato dagli artisti in mostra si nutre di culture profonde e intreccia rimandi ai grandi maestri che diventano autentiche coordinate interpretative. Michelangelo, con l’idea che «ogni blocco di pietra ha una statua dentro di sé ed è compito dello scultore scoprirla» (Vasari), illumina la pratica rivelatrice di Tolomeo e la spinta formativa che attraversa anche le superfici di Mazzucchelli: non mera esecuzione, ma atto di svelamento. In Morella risuona Paul Klee — «l’arte non riproduce il visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è» — e con lui la tensione simbolica che Jungindividua nell’opera come soglia tra conscio e inconscio; così il Braille Stellato diventa alfabeto di senso e veicolo di memoria. Gnata, con la lezione di Kandinsky in Punkt und Linie zu Fläche, affida a punto, linea e superficie la funzione di orientare lo sguardo e di costruire significato. E ancora, Baudelaire e Saint-Exupéry richiamano la dimensione della memoria e dell’invisibile — «Agli occhi del ricordo, quanto è piccolo il mondo!»; «l’essenziale è invisibile agli occhi» — note che dilatano la lettura, trasformando la tradizione in corda vibrante su cui accordare le pratiche contemporanee.
Nei punti di contatto tra mito e modernità — dall’eco omerica nel ciclo di Morella, alle risonanze rinascimentali delle trame di Tolomeo, fino alla tensione moderna della Cubosfera di Mazzucchelli — FORMAE costruisce una polis di significati, dove la forma non è mai definitiva ma in divenire. Alla fine, FORMAE mantiene la propria promessa del bello: non esibizione di virtuosismi, né teoresi chiusa, ma pratica di ascolto. La mostra sprona lo sguardo a riconoscere nella materia non un ostacolo, ma un interlocutore, e invita il pubblico a partecipare, attraverso senso, memoria e parola, alla costituzione della forma. La bellezza appare allora non come ornamento, ma come responsabilità: promessa che si compie quando la potenza diventa atto, quando il giudizio individuale trova la sua eco nella voce comune e nell’esperienza del genio umano in ogni sua forma.
- Fulvio Morella in FORMAE
- Fulvio Morella in FORMAE
- Franco Mazzucchelli per Gaggenau
- Franco Mazzucchelli per Gaggenau
- Franco Mazzucchelli per Gaggenau
- Morella e Tolomeo per Gaggenau







