
“Habemus Papam” è forse la frase che più ci si aspetta di sentire in questi giorni di Conclave, uno dei più seguiti dai media, quasi al pari delle elezioni americane di Trump. Un evento carico di tensioni e aspettative, tra veri e propri tifi da stadio, fazioni contrapposte, incertezze, paure e speranze. Interessante, allora, è capire come l’arte — specchio dei tempi — abbia intercettato e reinterpretato questo sentire collettivo.
Nonostante alcune incursioni, però, il Papa resta uno dei soggetti meno rappresentati e reinterpretati dall’arte contemporanea, in particolare da quella statunitense, eccezion fatta per il caso emblematico di Andy Warhol. Forse, in fondo, vale ancora il vecchio detto: “gioca con i fanti ma non con i santi.”
Il tema del ritratto papale ha attraversato secoli d’arte come simbolo di autorità e spiritualità. Tuttavia, dopo anni in cui all’arte era stato chiesto di rappresentare il Papa con solennità e reverenza, negli ultimi decenni questa figura è diventata oggetto di una rappresentazione diversa: il Papa è stato assunto come simbolo e reinterpretato, spesso con sguardi critici o dissacranti. Nelle mani di artisti contemporanei come Francis Bacon, Andy Warhol, Maurizio Cattelan e Yan Pei-Ming, il volto del Pontefice assume così significati nuovi e perturbanti, trasformandosi in emblema di angoscia esistenziale, ironia dissacrante e fragile umanità.
In questi ritratti, l’immagine del Papa perde la sua aura intoccabile per rivelare l’essere umano dietro il potere. Angoscia, solitudine, ironia, compassione e fragilità emergono come tratti dominanti, offrendo una riflessione profonda sul ruolo della figura papale nella contemporaneità. L’arte diventa così strumento per indagare la complessa relazione tra autorità e vulnerabilità, tra il visibile e l’invisibile.
Francis Bacon, in particolare, ha realizzato circa 50 variazioni sul tema del ritratto di Papa Innocenzo X di Velázquez, trasformando la figura papale in un’icona di tormento e isolamento. Quando gli fu chiesto perché fosse così attratto da questo soggetto, Bacon rispose: “Non ho nulla contro i papi, ho solo cercato un pretesto per usare quei colori, e non si possono dare abiti ordinari di quel colore porpora senza entrare in una sorta di falso stile fauve”.
Forse l’unica eccezione a questa visione inquieta e ironica del papato è Andy Warhol, che, nel suo celebre incontro con Papa Giovanni Paolo II, lo ritrae con lo sguardo umano, sereno e gioviale. La fotografia scattata nel 1980 in Piazza San Pietro non è solo un documento dell’evento, ma riflette un momento di fede ritrovata o di misticismo tardivo dell’artista, notoriamente cresciuto in un contesto cattolico e autore di importanti cicli religiosi come The Last Supper. Warhol, al contrario di Bacon o Cattelan, sembra suggerire che il Papa non sia solo una figura di potere e di distanza, ma anche una presenza – finalmente – familiare e accessibile, capace di incarnare la compassione e la spiritualità più autentiche.
Sabino Maria Frassà – 7 maggio 2025
Francis Bacon e l’urlo del potere
Francis Bacon (1909–1992), uno dei più grandi interpreti della condizione umana nel Novecento, ha rielaborato ossessivamente il “Ritratto di Innocenzo X” di Velázquez. Opere come Study after Velázquez’s Portrait of Pope Innocent X (1953) e Study for a Portrait (1953) ne sono testimoni inquietanti. Entrambe le opere sono state esposte in numerose mostre internazionali dedicate a Bacon, tra cui la celebre retrospettiva alla Tate Britain di Londra del 2008-2009.
In queste tele, il Papa appare intrappolato in una gabbia trasparente, colto nell’atto di un urlo silenzioso, con il volto stravolto da forze interiori laceranti. Lontano dalla dignità ieratica dell’originale seicentesco, il pontefice di Bacon è simbolo di solitudine e impotenza.

Francis Bacon, Head VI, 1949. Olio su tela, 93,2 × 76,5 cm. Londra, Hayward Gallery, Arts Council collection.
Andy Warhol e l’incontro con Papa Giovanni Paolo II
Andy Warhol non ha mai realizzato un’opera pittorica dedicata al Papa, ma ha prodotto fotografie significative che testimoniano il suo incontro con Papa Giovanni Paolo II. Questo avvenne il 2 aprile 1980, quando Warhol partecipò a un’udienza generale in Piazza San Pietro. Pur aspettandosi un incontro privato, si trovò tra migliaia di fedeli. Tuttavia, riuscì a stringere la mano al Pontefice e a immortalare il momento con la sua fotocamera.
Tra le immagini realizzate in quell’occasione, una delle più emblematiche è una stampa unica in gelatina d’argento, eseguita nel 1980 (25,4 x 20,3 cm), che è stata successivamente messa all’asta da Christie’s, diventando un raro documento visivo dell’incontro. Un altro scatto importante, realizzato dal fotografo Lionello Fabbri, ritrae invece Warhol mentre stringe la mano al Papa: anche questa fotografia, venduta da Stair Galleries, rappresenta una preziosa testimonianza di quell’evento. La religione, del resto, è un tema ricorrente nella sua produzione artistica, fortemente influenzata dalla sua educazione cattolica bizantina. Tra le opere più significative in questo ambito spicca la serie “The Last Supper” (1986), in cui Warhol riflette sul valore iconografico e spirituale delle immagini sacre.
Maurizio Cattelan e la dissacrazione iconica
A interpretare il Papa in modo ancora più radicale e dissacrante è stato Maurizio Cattelan (1960), tra i più celebri e discussi artisti contemporanei. Capace di mescolare parodia e riflessione sociale, con La Nona Ora (1999) ha dato vita a una delle rappresentazioni più controverse della figura papale. L’opera raffigura Papa Giovanni Paolo II a terra, colpito da un meteorite, ma ancora avvolto nella sua veste papale e con il pastorale saldamente in mano. Il titolo stesso, La Nona Ora, fa riferimento all’ora della morte di Cristo — un richiamo potente e tragico che eleva l’opera oltre la mera provocazione. La scena sospesa tra dramma e ironia riflette sul peso della responsabilità spirituale e sulla vulnerabilità anche della massima autorità religiosa. Presentata per la prima volta alla Royal Academy di Londra nel 2000 nella mostra Apocalypse: Beauty and Horror in Contemporary Art, l’opera ha fatto discutere in tutto il mondo. Successivamente venduta all’asta da Christie’s nel 2001, è oggi custodita in una collezione privata.
Yan Pei-Ming e la pittura della sospensione
Yan Pei-Ming (1960), pittore franco-cinese tra i più noti interpreti contemporanei del ritratto, trasforma i volti in presenze potenti e inquietanti attraverso una pittura gestuale e materica. Le sue pennellate larghe e veloci, spesso stese in bianco e nero o in tonalità ridotte come il rosso e il blu, dissolvono i contorni e avvolgono i soggetti in un’aura di sospensione. Le immagini di partenza, generalmente fotografie, vengono rielaborate per perdere la loro nitidezza documentaria e acquisire una nuova forza evocativa: non più semplice riproduzione, ma interpretazione intensa e personale.
In questa chiave si collocano anche i suoi ritratti dei papi, in cui l’artista affronta il tema del potere e della spiritualità con un linguaggio che scava nella dimensione più umana e vulnerabile di figure solitamente idealizzate. Nel 2005 dipinge Papa Giovanni XXIII, il “Papa buono”, avvolgendolo in tinte rosse e bianche che ne evocano la bontà e la dimensione umana. L’opera, esposta al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, restituisce un’immagine empatica e affettuosa del pontefice, lontana dalle iconografie ufficiali. Nel 2014 realizza il ritratto di Papa Francesco, presentato alla Triennale di Milano. Qui l’artista esalta il senso di universalità e compassione che contraddistingue il pontificato di Bergoglio, offrendo un’immagine che unisce autorevolezza e delicatezza.
Infine, Yan Pei-Ming si confronta anche con Papa Benedetto XVI attraverso una litografia in cui la figura del pontefice si fa essenziale e grafica. Questa opera, esposta in varie mostre europee e destinata a rimanere in esposizione per almeno dieci anni presso l’Accademia Carrara di Bergamo, riflette la volontà dell’artista di far emergere la fragilità dietro l’autorità, in linea con la poetica che attraversa tutta la sua ricerca.
Attraverso questi ritratti, Yan Pei-Ming continua a interrogare l’immagine papale, trasformandola da simbolo assoluto di potere a specchio della condizione umana, sospesa tra presenza e assenza, forza e vulnerabilità.