Altro che mimose! Forse non tutti sanno che la giornata della Festa della Donna, così come la celebriamo noi, nasce durante la prima guerra mondiale, come gesto di donne esasperate dalla fame e dalla guerra. L’8 marzo 1917 moltissime donne manifestarono per la pace contro la partecipazione della Russia alla 1° guerra Mondiale. Complici le terribili condizioni vissute anche dell’esercito, la manifestazione non venne repressa, si ampliò ben oltre gli intenti fino a dare origine alla rivoluzione Russa. Reinterpretando in chiave politica tale manifestazione “pacifista”, la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste nel 1921 stabilì perciò che ogni 8 marzo si celebrasse la Giornata internazionale dell’operaia.
A dire il vero anche prima del 1917 si era cominciato a celebrare però la festa della donna, grazie alla pressione e organizzazione del partito socialista. Più che di festa, si trattava di un giorno all’anno di grandi proteste politiche per rivendicare il suffragio universale e i diritti delle lavoratrici. Così, grazie alle indicazioni dell’allora Partito Socialista americano, il 23 febbraio 1909 si tenne a New York il primo Woman’s Day (per approfondire si veda il testo del 1985 Temma Kaplan, ma si consideri che altre fonti riportano come data non il 23 ma il 28 febbraio). Solo nel 1977 l’ONU formalizzò l’8 marzo come data in cui celebrare la “Giornata internazionale della Donna”, dal momento che tale data con il tempo si era affermata perdendo l’originaria connotazione politica.
Ricordare l’origine pacifista e sindacale dell’8 marzo è utile per riflettere su cosa possa significare festeggiare la Festa delle donne oggi. La nostra Costituzione ha il coraggio di anteporre il più ampio principio dell’uguaglianza alla difesa di specifiche minoranze o parti della popolazione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge …” (Art. 3). Alla luce di tale principio di uguaglianza, che si completa (sempre all’Art. 3) con l’obbligo a non discriminare, andrebbe riletta anche la Giornata Internazionale della Donna. L’8 marzo dovrebbe essere soprattutto una di quelle importantissime ricorrenze utili per ricordare una volta di più la necessità di riconoscere diritti universali a tutti gli esseri umani, più che ricordare i diritti ingiustamente negati a singole minoranze, i cui stessi confini e definizioni risultano complessi, anacronistici e francamente superflui (si pensi ad esempio al divieto di discriminazione razziale previsto dalla costituzione nel 1948, mentre oggi l’impiego stesso di tale termine risulta scientificamente superato).
Più amara si fa la riflessione allorché si pensa a chi dovrà e potrà cogliere lo stimolo di tali giornate per battersi a favore dei diritti fondamentali (ancora negati) a parti dell’umanità. Da un lato assistiamo a un fenomeno di crescente paura del “femminile” e del suo ruolo nella società – con l’aumento della violenza contro le donne e dell’omofobia – dall’altro l’idea stessa di suffragio universale – all’origine anche della Festa delle donne – si scontra con il crescere di ignoranza, astensionismo e populismo. Viene spesso spontaneo pericolosamente domandarsi che senso abbia che un qualsiasi essere umano possa – perché maggiorenne – votare per difendere/negare i suoi e soprattutto altrui diritti, senza che abbia maturato e mantenuto capacità di comprendere ciò che gli viene detto o ciò che gli accade intorno? Ricordiamoci che secondo l’ISTAT il 18,6 per cento degli italiani in un anno non ha mai aperto né un giornale né un libro e che l’OCSE sostiene che il 28% degli italiani soffra di analfabetismo funzionale.
La memoria dell’umanità è corta. Per salvaguardare il sistema democratico e l’uguaglianza, non bastano leggi e dichiarazioni. Non basta nemmeno una Carta Costituzionale, conquistata con il sangue non troppi anni fa. Per avere democrazia e uguaglianza, bisogna che tutti lo vogliano ogni, ovvero bisogna che ogni giorno si riesca ad andare oltre i propri pregiudizi, oltre l’umana paura dell’altro e oltre l’innato egoismo dell’istinto di sopravvivenza. Perciò per difendere l’umanità “nella sua interezza” e non solo le donne, gli omosessuali, gli ebrei, i mussulmani o gli immigrati “di turno”, bisognerebbe essere educati a farlo per tutta la vita.