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Fuga di cervelli all’estero? Presentati i dati della Fondazione Giorgio Pardi

By 28 Gennaio 2015Giugno 29th, 2017CRAMUM, Salute
[fblike layout=”standard” action=”like” font=”lucida+grande” colorscheme=”light”] [margin10]Milano – 28 novembre 2014,
La Fondazione Giorgio Pardi oggi rende pubblici i dati dell’indagine “I giovani e la ricerca medica in Italia”, realizzata in partnership con AstraRicerche (Enrico Finzi) e le principali associazioni del settore (SIGO, AGUI, SIMP, AGIF, ONSP SIERR). Il tema della disoccupazione, dell’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, è un punto nodale per il nostro Paese. La Fondazione con questa indagine porta all’attenzione dell’opinione pubblica lo stato di salute del sistema italiano di sostegno ai giovani e alla ricerca. L’indagine si è quindi concentrata non solo su chi faccia ricerca in Italia, ma anche su come si mantenga e quali siano i soggetti sostenitori (pubblico, aziende e non-profit). I dati descrivono una situazione problematica in cui il 30% dei ricercatori non svolge più alcuna attività di ricerca, il 39% continua a farla gratuitamente, il 14% la svolge con opportuni aiuti/finanziamenti in Italia e l’8% all’estero.
[googleplusone size=”small” lang=”it”]Di seguito la sintesi dell’indagine.
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[pullquote3 variation=”hotpink” bgColor=”#fcb1fc” textColor=”#880844″]La Fondazione Giorgio Pardi è nata nel 2008 per combattere la fuga di cervelli e sostenere i migliori giovani soprattutto in ambito materno-neonatale. In 5 anni ha sostenuto oltre 100 giovani.[/pullquote3]
I dati dell’indagine sono stati presentati oggi a Milano all’interno del congresso nazionale dell’Associazione di Medicina Perinatale Agorà SIMP. L’indagine demoscopica, fortemente voluta da Nicoletta Corbella Pardi e Guido Venturini (ripsettivamente Presidente e Tesoriere della Fondazione) è stata portata avanti da AstraRicerche e si è concentrata sul settore materno-fetale. Un lavoro di mesi (dicembre 2013 – luglio 2014) portato avanti da Sabino Maria Frassà – Fondazione Giorgio Pardi – da Enrico Finzi (Presidente AstraRicerche) e tutto lo staff di AstraRicerche (Cosimo Finzi e Simona Mastrantuono per citarne alcuni) ha permesso di coinvolgere le principali Associazioni di Categoria (SIMP, AGUI, SIGO, SIERR, ONSP, AGIF) e 552 ricercatori (ginecologi, pediatri, neonatologi, biologi, embriologi). 552 ricercatori hanno risposto tra giugno e luglio 2014: per il 66% donne; per il 19% 24-29enni, il 23% 30-34enni, il 22% 35-45enni, il 36% dai 46 anni in su; per il 46% ginecologi, il 23% pediatri, il 10% neonatologi ed inoltre il 16% biologi/embriologi/biotecnologi,  5% altre specializzazioni; per il 29% senza pubblicazioni negli ultimi due anni, il 26% con 1-2 due pubblicazioni, il 23% con 3-5, il 23% con 6 o più).

Button TextLa situazione della ricerca di base e medica in Italia – per quel che attiene alla ginecologia, alla neonatologia, alla pediatria, alla biologia, alla embriologia, alla biotecnologia connesse – è prevalentemente negativa, talora drammatica. I giovani troppo spesso non vengono selezionati, valorizzati, motivati e specialmente aiutati, con varie conseguenze: la fuga all’estero; il mancato ritorno ‘da fuori’; l’abbandono del mondo della ricerca con un clamoroso spreco di talenti e di opportunità; il perseguire nella ricerca ma senza alcun sostegno e dovendo dedicarsi contemporaneamente ad altre attività che garantiscano la sopravvivenza; il disagio personale e professionale per un ambiente e un ‘clima’ troppo spesso non incentivanti se non addirittura demotivanti per il deficit di meritocrazia che frequente-mente connota il nostro Paese. Cruciali sono i finanziamenti pubblici e – decisivi seppur minoritari – i finanziamenti privati da parte di imprese e (su valori analoghi) di associazioni/fondazioni.

Il nostro Paese è giudicato assai arretrato rispetto ad altri per quel che attiene alla crescita professionale e all’avanzamento di carriera (87%), ai redditi (85%), alla valorizzazione dei meriti (83%), all’accesso ai finanziamenti (78%), alla notorietà/visibilità nel mondo della ricerca (70%).Un giovane che voglia fare ricerca di base e/o clinica in Italia deve affrontare numerosi e gravi problemi, indicati nella tabella che segue, la quale mostra che gli intervistati si sono scontrati nella loro esperienza personale con una drammatica insufficienza dei finanziamenti pubblici e privati, con tempi troppo lunghi per la loro crescita professionale, con difficoltà burocratico-amministrative, con un deficit di meritocrazia aggravato dalla carenza di stimoli e di opportunità, da redditi bassi o nulli, da una persistente condizione di incertezza e di instabilità circa la propria condizione lavorativa.

Il 38% del campione ha fatto una o più esperienze di ricerca all’estero, con due motivazioni-chiave: il desiderio di fare un’esperienza internazionale prima di un eventuale ritorno in Italia (60%) e l’esistenza altrove di maggiori opportunità di crescita (49%). Ma hanno giocato anche – seppur meno – la percepita debolezza del sistema italiano nella propria specifica area di competenza (22%), il timore o la certezza della mancanza di meritocrazia in Italia (22%), le maggiori opportunità di guadagno altrove (17%), specifici motivi personali (quali i rapporti di coppia: 11%). Con un’aggiunta: il 18% ha effettuato parte dei propri studi all’estero, dove è poi stato facilitato nel proseguire  con la ricerca.

Il 75% degli intervistati ha avuto esperienze di ricerca anche o – prevalentemente – solo in Italia, nella metà dei casi in maniera del tutto gratuita, riuscendo a sopravvivere grazie all’aiuto della famiglia e/o ricavando redditi da altre attività (per es. l’attività clinica per molti medici). I risultati sono spesso assai negativi: il 30% dei ricercatori non sta oggi svolgendo alcuna ricerca, il 39% continua a farla ma senza alcun sostegno, il 14% la svolge con opportuni aiuti/finanziamenti in Italia e l’8% all’estero.

Nell’insieme, i soggetti che tuttora svolgono ricerca con un sostegno esterno lo ricavano in gran parte (per il 63%) dal ‘pubblico’ mentre la minoranza (37%) si bipartisce pressoché esattamente tra coloro che sono sostenuti da associazioni/fondazioni non profit e coloro che lo sono da privati (anzitutto imprese). Considerando insieme il passato e il presente, un terzo del campione non ha mai ricevuto alcun finanziamento o sostegno o premio per fare ricerca in Italia, il 36% ne ha ricevuto uno o due, il 16% da tre a cinque, il restante 15% sei o più. Va aggiunto che solo per il 7% l’aiuto ricevuto è stato finalizzato a favorire il rientro in Italia di ricercatori operanti all’estero. A proposito di tale rientro, coloro che sono attualmente impegnati in attività di ricerca all’estero per il 14% affermano di non avere alcuna intenzione di rientrare comunque in Italia, il 12% è certo invece che lo farà prima o poi, ben il 67% vorrebbe tornare nel Bel Paese ma solo se trovasse opportunità simili a quelle che ha attualmente al di fuori dei confini (il 7% non esprime opinioni in merito).

La valutazione del sostegno ricevuto da coloro che ne hanno potuto godere è nell’insieme assai positiva: il 65% dice che esso ha favorito la propria crescita professionale; il 61% che è stata la condizione sine qua non per intraprendere o continuare l’attività di ricerca; il 57% ha goduto del vantaggio di essere messo in contatto con figure che sono state e spesso sono tuttora punti di riferimento nel proprio percorso professionale; una minoranza del 33% riconosce di aver potuto conseguire l’indipendenza economica. Nell’insieme, gli entusiasti ammontano al 35% di coloro che sono stati aiutati/finanziati; il 34% si dice moderatamente soddisfatto; il 31% prevalentemente o totalmente insoddisfatto.

Button TextMalgrado i limiti, i ricercatori che hanno goduto di forme di finanziamento/sostegno per fare ricerca in Italia reputano tale aiuto assolutamente indispensabile: infatti il 39% dice che – in assenza di tale supporto – avrebbe rinunciato ad effettuare ricerca e si sarebbe dedicato ad altro; il 38% avrebbe comunque svolto attività di ricerca in questo Paese ma affiancandola ad altre attività stante la necessità di sostenersi economicamente; il 20% sarebbe emigrato per fare ricerca all’estero; infine il 3% non sarebbe rientrato in Italia come invece ha fatto.

Certo, svolgere attività di ricerca di base o clinica nel nostro Paese è estremamente arduo: la quasi totalità degli intervistati giudica indispensabile un radicale ripensamento del ‘modello’ attuale, suggerendo – in risposta a una domanda ‘aperta’ (ossia a libere risposte non pre-definite) – una serie di interventi qui di seguito sintetizzati. Come si nota dalla lettura della tabella che segue, le due principali domande riguardano l’affermazione – senza eccezioni – di scelte meritocratiche e l’incremento dei finanziamenti pubblici; su valori più bassi troviamo lo snellimento della burocrazia, specifiche politiche di valorizzazione dei giovani (includenti una loro maggior remunerazione), la crescita della trasparenza e dei controlli su progetti e stanziamenti, misure a favore dei finanziamenti privati, la lotta al precariato, ecc..