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FLORA DEBORAH tra le artiste in mostra da NARCISI FRAGILI: “Arte è ciò che preferiremmo non vedere”

By 5 Settembre 2020CRAMUM

Il 22 settembre all’interno del Palinsesto “I Talenti delle donne” del Comune di Milano nello spazio My Own Gallery (Via Tortona 27 bis) Superstudio e Cramum presentano la mostra al femminile “Narcisi Fragili” a cura di Sabino Maria Frassà che ospita le opere di cinque artiste italiane: Laura de Santillana, Daniela Ardiri, Flora Deborah, Giulia Manfredi e Francesca Piovesan. “Narcisi fragili” come spiega il curatore Sabino Maria Frassà “è un percorso espositivo che indaga la bellezza e la precarietà dell’esistenza umana, partendo dalla riflessione di Virginia Woolf: “Ho avuto un istante di grande pace. Forse è questa la felicità“. Nel buio interiore l’arte riesce a trasformare la materia in pensiero, a condividere riflessioni, dubbi e spiragli di “fugaci momenti di gloria” che diventano universali, andando al di là del proprio tempo e del vissuto dell’artista”.


MyOwnGallery, Superstudio Più

Via Tortona 27 bis Milano

23 settembre – 29 ottobre 2020
MA – VE h 11.00 – 19.00  SA – DO h 15.00 – 19.00

Inaugurazione Martedì 22 settembre dalle ore 17.00 alle ore 21.00


 

PER FLORA DEBORAH ARTE E’ CIO’ CHE PREFERIAMO NON VEDERE

Commento critico all’opera in mostra del curatore Sabino Maria Frassà

Flora Deborah (nata a Evian les Bains, Francia, nel 1984) dopo essere arrivata seconda al Premio Cramum nel 2015, si è trasferita a Tel Aviv. Bloccata dal lockdown a Milano, dove era tornata per trovare la famiglia, è stata protagonista di un’intensa performance “The Synonim of Why” in cui ha scomposto e ricomposto un uovo simbolo per antonomasia della vita. L’opera invece selezionata per “Narcisi Fragili” è “The Placenta is Dead, Long Life to the New Consumer”: si tratta di una scultura in bronzo e cera realizzata in Scozia nel 2019, ma concepita a Londra nel 2014. E’ un’opera che racconta molto di questa artista che da anni indaga il significato del bello al di là delle apparenze. Elemento che caratterizza Deborah è infatti il far diventare opera d’arte gli organi e le viscere degli esseri viventi, ovvero quelle parti talmente intime di cui noi stessi spesso rifiutiamo la vista. Tutto cominciò dal rapporto con un macellaio di Londra nel 2014 con cui rifletté su quanto le persone scartino di un animale come il maiale di cui in realtà tutto sarebbe commestibile. Ispirata anche dalla lettura di “Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione” di Julia Kristeva, cominciò quindi a studiare l’anatomia degli organi, cercando di combattere quella iniziale repulsione. Proprio l’interrogarsi su tale sentimento è stato il motore dei lavori successivi. L’attenzione dell’artista si concentrò presto sulla placenta umana, organo che permette la formazione di una nuova vita, che la protegge e le dà nutrimento. Nonostante l’importanza di tale organo, pochi di noi sanno come sia fatta: essa è il simbolo stesso del nostro tempo che non riesce ad attribuire la giusta importanza agli elementi sostanziali e alla base della nostra stessa esistenza. Flora Deborah realizzò così il calco di una placenta donatale da una sua amica e lo portò con sé nei suoi tanti spostamenti: da Londra a Milano e infine a Tel Aviv. Solo nel 2019, in Scozia per una residenza d’artista, riuscì a completare questa ricerca, realizzando una scultura che è una sorta di “tomba” della placenta. Facile rintracciare la forte ironia e il rapporto del distacco della madre centrali nella cultura ebraica. Si può così facilmente concludere che “The Placenta is Dead, Long Life to the New Consumer” sia in fondo una pietra di inciampo per ricordarci da dove veniamo e un invito a riconsiderare i canoni estetici e i parametri di valutazione del “bello”.