Skip to main content

Da grande meglio diventare calciatori o filosofi? Il dubbio di Nicla Vassallo

By 20 Luglio 2020Cultura

A che serve la filosofia e la fatica che essa comporta? Me lo chiedo ogni volta che passo davanti a una biblioteca chiusa e penso alle discoteche riaperte e al riavvio del campionato di calcio.

Il calcio non mi piace, anzi mi annoia eppure banale a dirsi i calciatori di Serie A guadagnano molto di più dei filosofi non dico di quelli dalla dubbia fama che popolano la TV, ma di quelli meno sotto i riflettori, che insegnano nelle migliori università al mondo. Non mi annoiano invece le menti che funzionano e che portano al progresso della specie umana: queste menti hanno bisogno di una cultura vera, aperta al confronto non solo virtuale. Mai mi sarei schierata contro uno sport, soprattutto di squadra, ma il confronto calcio e filosofia è metafora e segno premonitore dell’assenza di un futuro migliore per il nostro Paese.

Stando ad Aristotele “la filosofia non serve a nulla, dirai; ma sappi che proprio perché priva del legame di servitù è il sapere più nobile”. Già, pur con le sue regole, la filosofia, a differenza del calcio e degli sport agonistici, non è serva: non ubbidisce al alcuno e a nessun comando. Dubbi invece che lo stesso possa valere per il calcio, a partire dal fatto che il suo primo motore è un’impressionante giro di soldi, e non solo. In tempi ancora di Covid 9, così l’unico sport ora giocato, al fine di portare a termine il campionato, è il calcio.

E a settembre/ottobre che accadrà? Si giocherà o si andrà a scuola con le lezioni a distanza che, io, Nicla Vassallo, detesto, e non solo io. Per esempio, lo scorso Maggio, La Stampa pubblicava l’appello, redatto materialmente dal filosofo Umberto Curi, e sostenuto da noti intellettuali, oltre Massimo Cacciari, Alberto Asor Rosa, Maurizio Bettini , Luciano Canfora, Umberto Curi, Donatella Di Cesare, Roberto Esposito, Nadia Fusini, Sergio Givone, Giancarlo Guarino, Giacomo Marramao, Caterina Resta, Pier Aldo Rovatti, Carlo Sini, Nicla Vassallo, Federico Vercellone: Dare superficialmente per assodata l’intercambiabilità fra le due modalità di insegnamento – in presenza o da remoto – vuol dire non aver colto il fondamento culturale e civile della scuola, dimostrandosi immemori di una tradizione che dura da più di due millenni e mezzo e che non può essere allegramente rimpiazzata dai monitor dei computer o dalla distribuzione di tablet…. la scuola non vuol dire meccanico apprendimento di nozioni, non coincide con lo smanettamento di una tastiera, con la sudditanza a motori di ricerca. Vuol dire anzitutto socialità, in senso orizzontale (fra allievi) e verticale (con i docenti), dinamiche di formazione onnilaterale, crescita intellettuale e morale, maturazione di una coscienza civile e politica. Insomma, qualcosa di appena più importante e incisivo di una messa in piega o di un cappuccino”.

Nonostante il suddetto nostro appello, parecchie università, inclusa quella di Genova, ove insegno, Filosofia Teoretica, da professore ordinario, hanno optato per la didattica a distanza, limitandosi per ora al primo semestre; forse inconsapevole, tra l’altro, che con la didattica a distanza lo studente apprende solo il 10% di quanto il professore gli vorrebbe impartire.

Perché studiare in queste condizioni? Forse meglio concentrarsi sul calcio. sperando di diventare calciatori professionisti. Perché siamo sicuri che dopo, anche con una laurea triennale in qualche disciplina, si troverà lavoro con una crisi economica di cui non conosciamo ancora la portata? Insomma, al momento, vi sono perlomeno due Italie: quella di una scuola che non osa, che diligente rispetta ogni norma per contenere il Covid 9, che non si attrezza in modo adeguato per le lezioni in presenza, scuola in cui gli studenti procedono al 10%, e quella dì un calcio libero da restrizioni perché deve portare a termine il campionato, per iniziare il successivo.

Qualcosa non funziona: cosa c’è dietro al calcio giocato a ogni costo? L’imbonirsi una popolazione sempre più disperata tra ignoranza – indotta – e crisi economica inenarrabile? Perché lo stesso coraggio delle discoteche aperte non lo applichiamo a Università, biblioteche e scuole?

Quando da bimba mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande, i miei desideri erano molti. E oggi i nostri bimbi e le nostre bimbe cosa possono sognare? Una scuola-non-scuola, scalcinata, che se va bene li condurrà probabilmente a lavori simil-portapizze, se non a lavori in nero, o la pratica di un sport quale è il calcio, dove sì ci sarà anche una grassa ignoranza culturale, ma dove i soldi girano bene e troppi, e, se riesci a giungere in una squadra di serie A o pure B, molto ti è concesso.

Nicla Vassallo per Ama Nutri Cresci