Skip to main content

FertilityDay: tra istigazione a procreare e consapevolezza, tra demagogia e crisi della periferia anche nella comunicazione

By 1 Novembre 2016Giugno 21st, 2017Salute
[googleplusone size=”standard” lang=”it”] Per comprendere il #fertilityday nel bene e nel male pensiamo ad alcuni dati:

  • Ogni famiglia italiana dovrà spendere in media circa 171mila euro (Federconsumatori 2014) per crescere un figlio.
  • Lo stipendio di ingresso dei giovani italiani è tra i più bassi d’Europa. Il picco di stipendio si ha a 55 anni in Italia, contro i 40 di media europea; (leggi articolo)
  • La disoccupazione giovanile in Italia è del 37,9%, contro una media europea del 22%; (leggi articolo);
  • L’età media a cui una donna concepisce il primo figlio in Italia è di 30,7 anni (la più alta d’Europa) contro una media europea di 28,8 anni; (Eurostar – leggi Report)
  • Numero medio di figli per donna in Italia nel 2014 era di 1,37 mentre occorrerebbero circa 2,1 figli per garantire il ricambio generazionale.
[fblike action=”like” font=”lucida+grande” colorscheme=”light”][margin10]
Cartolina della campagna governativa #fertilityday

Cartolina della campagna governativa #fertilityday

Detto ciò, dopo anni tra centri per la procreazione mediamente assistita e lettere di richieste di aiuto di “aspiranti genitori”,  mi ha colto un forte imbarazzo la questione della campagna del Ministero della Salute #fertilityday : l’invito del governo a fare figli (non solo uno) prima dei 35 anni. Come molti sanno “ama nutri cresci” è stata ed è promotrice con la Fondazione Giorgio Pardi (e numerosi patrocini istituzionali) di una forte campagna di sensibilizzazione di consapevolezza sui temi della maternità e della salute prima durante e dopo la gravidanza. “Nutri la tua fertlità” è stata la campagna – ancora in corso – che ha raccolto dal 2013 100 professionisti di 13 Ospedali di eccellenza in Italia per informare sui rischi dell’infertilità e su come affrontarli.

Non posso che essere favorevole perciò ad una Politica che miri ad una maggiore consapevolezza sui rischi dell’infertilità maschile e femminile, ad una maggiore efficacia nel comunicare l’impatto sulla salute dei figli che verranno di una corretta nutrizione e appropriati stili di vita dei futuri genitori, MA …

Andi Kacziba, Altare della sterilità, 2014 ph. Daniele Garofalo

“Altare della Sterilità”, Andi Kacziba, 2014 (leggi l’intervista all’artista)

… volendo credere alla bontà degli intenti, non si può che riconoscere, se non il dolo, una certa colpa del modo in cui è stata declinata la campagna #fertilityday. Alcuni spunti di riflessione:

  1. CONSAPEVOLEZZA: siamo sicuri che la popolazione italiana in età riproduttiva (circa 18-42 anni) non faccia figli a 26 anni solo perché ignora la correlazione tra infertilità ed età? Con sempre maggiore enfasi i media riportano eventi di cronaca o gossip riguardo a gravidanza oltre i 50 anni. Proprio passati esempi ecclatanti (vedi il caso Gianna Nannini) hanno portato il dibattito anche su talk-show generalisti. La gente forse ignora che il sole e la vitamina D sono “amici” della fertilità o che l’obesità al contrario mina le possibilità di avere un figlio, ma è un sapere abbastanza comune che dopo i 40 anni è molto difficile per una donna avere un figlio.
  2. PATERNALISMO E “CRISI DELLA PERIFERIA” ANCHE NELLA COMUNICAZIONE: dolo o colpa del #fertilityday? Questo è il dubbio che più irrita soprattutto le lettrici donna. Se veramente l’obiettivo era la consapevolezza e non il far percepire un””istigazione a procreare”, forse bisognava capire che un tono paternalistico, di pseudo bontà che fa calare sulla massa (considerata ignorante) la luce della conoscenza a forza di tweet e immagini, non era una scelta appropriata. Chi si informa sulla sua salute sul web, chi legge di salute (www.amanutricresci.com ne è un esempio) ha tra i 25 e 45 anni, ha poco tempo ed è molto sfiduciato dalle fonti di informazione, arrivando ad equiparare i pareri del medici e consigli di mamma/nonna o forum web generalisti (vedi indagine Efficacia della Comunicazione prima, durante e dopo la gravidanza).  Le persone che si informano online pretendono una comunicazione diretta, asciutta, ma non sono persone impreparate; al massimo sono male informate e sfiduciate, tendendo a fonti sempre più periferiche, perché ritenute più indipendenti e meno inficiate dai poteri forti.
  3.  ISTITUZIONI, WEB ED EFFICACIA DELLA COMUNICAZIONE : il problema è quindi quello di essere autorevoli, credibili, efficaci… ovvero essere in grado non solo di essere efficaci nella comunicazione, facendo giungere al più elevato numero di persone la campagna, ma facendo arrivare il “giusto messaggio obiettivo” e facendo mutare i comportamenti della popolazione target. Forse, o meglio cercando di vedere una colpa e non un dolo in questa campagna, è proprio qui l’equivoco sostanziale: sottostimare il lettore, semplificando troppo il messaggio. Un’immagine, un hashtag o un solo tweet non possono rendere giustizia ad un tema tanto delicato quanto l’infertilità e la bassa natalità italiana, le cui origini non sono (solo) l’ignoranza del tema, quanto forse piuttosto il perpetrarsi di una crisi sistemica, che colpisce soprattutto i più giovani. Questa ossessiva tensione alla semplificazione, anche nel linguaggio, non può più funzionare e viene vista sempre più come forma di profonda demagogia e strumentalizzazione. E’ ovvio che avere un figlio a 25 anni è la condizione medico-sanitaria migliore, ma bisognerebbe mettere nelle condizioni le persone non solo di saperlo, ma anche di poterlo fare.

Milano, 1 settembre 2016, Sabino Maria Frassà – Direttore “ama nutri cresci” e Segretario Generale Fondazione Giorgio Pardi (Scopri chi è)