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15° Consiglio – L’età della fertilità: quando avere un figlio?

By 11 Marzo 2015Agosto 13th, 2015Salute

La nostra società spinge le donne e le coppie a cercare una gravidanza sempre più tardi. Tuttavia le regole della biologia non sono cambiate: la capacità riproduttiva inizia a ridursi già dai 25 anni e si esaurisce in genere dopo i 40 anni. 

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Qual è l’età fertile?

una riflessione del dott. Somigliana (scopri chi è) – responsabile del Centro Sterilità della Fondazione Ca’ Granda, Ospedale maggiore Policlinico (Clinica Mangiagalli) di Milano

Revisione S.M. Frassà (scopri chi è)

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La Nutrizione è importante?

1. Cosa deve mangiare una futura mamma?

2. Cosa deve mangiare un futuro papà?

3. Il problema dell’obesità

4. Il problema delle anoressie

Quali stili di vita per nutrire la fertilità?

5. Fumo e fertilità

6. Alcool e fertilità

7. Esercizio fisico e fertilità

8. Esposizione solare e fertilità

9. Stress e fertilità

10. Condizioni di lavoro e fertilità

11. Telefoni cellulari e fertilità

12. Inquinanti ambientali e fertilità nell’uomo

13. I farmaci

Come nutrire la Fertilità in ogni Età

14. Adolescenza fertilità e gravidanza

15. L’età più fertile

16. La menopausa precoce

17. Mamma a 50 anni?

Quali patologie non nutrono la fertilità

18. Malattie sessualmente trasmesse e fertilità

19. Malattie autoimmuni e fertilità

20. Dolore pelvico e infertilità

C’è una risposta clinica per nutrire la fertilità?

21. Cosa è permesso e cosa no in Italia: la normativa

22. Preservare la fertilità nell’uomo

23. Preservare la fertilità nella donna

24. La risposta chirurgica all’infertilità

25. Agopuntura e infertilità (& terapie alternative)
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Aber, Uganda, Inverno 2010 

La stanza delle ostetriche della Sala Parto è piena di luce. Dalla finestra posso vedere il cortile dell’ospedale, un’ampia area lussureggiante di vegetazione e tempestata dal sole. I colori, nonostante sia primo pomeriggio, sono limpidi e forti. Il temporale del mattino è rimasto in qualche modo sospeso nell’aria e la forza del sole non ne ha ancora spento l’eco. Le ostetriche nella stanza di fianco stanno preparando una paziente per un cesareo. Si dice che una paziente dovrebbe poter essere pronta per essere operata in meno di mezz’ora dal momento della decisione ma qui, talora, ci mettono anche due ore. All’inizio mi irritavo, col tempo mi sono arreso. Lo chiamano “African time”. Così tentenno, un po’ annoiato. Il mio sguardo scivola sul registro della sala parto, un quadernone sgualcito dove vengono registrati tutti i parti coi dati essenziali: nome, età, settimana di gravidanza, modalità del parto, peso e vitalità del neonato, morte materna. Tutti i nomi iniziano con una “A”. Questa cosa mi aveva sorpreso all’inizio poi mi hanno spiegato che in questa area i pazienti non hanno cognome (non esiste l’anagrafe) ma due nomi, un nome tribale e un nome occidentale. Il sesso viene determinato dalla prima lettera del nome tribale, i maschi hanno nomi che iniziano conla “O”, le femmine hanno nomi che iniziano conla “A”. “Odong” e “Adong”, ad esempio, stanno a significare “Abbandonato” e “Abbandonata” (e purtroppo, sono tra i nomi più comuni). Poi lo sguardo scivola sulla colonna successiva, quella dell’età. Sorrido. Due su cinque hanno 18 anni, le altre poco più. Sorrido perché c’è una legge che “vieta” di partorire sotto i 18 anni e questi casi andrebbero segnalati (peraltro, in un anno passato in Uganda, nessuno è riuscito a dirmi a chi mai andrebbero segnalati). E così le ragazzine minorenni dichiarano sempre 18 anni e vengono registrate come tali. Non essendoci un’anagrafe, non ci sono documenti e ognuno ha l’età che vuole. Dopo i 20 anni i parti riportati sul registro sono meno frequenti ma questo è dovuto al fatto che le pluripare non hanno il tempo e i soldi per partorire in ospedale per cui partoriscono in casa o presso qualche anziana del villaggio più o meno erudita nell’assistenza al parto.

Sollevo lo sguardo e mi lascio andare ai pensieri. Com’è tutto diverso qui. Ogni donna ha in media più di 7 bambini, in Italia siamo a 1.3. L’età al primo parto ha superato i 30 anni da noi mentre qui di rado una primipare supera i 20 anni. Mi torna in mente un articolo letto nelle settimane precedenti, un articolo che mette in evidenza un paradosso della nostra specie. Le donne divengono in grado di riprodursi prima di essere in grado di partorire. L’ovulazione avviene regolarmente dai 13-14 anni mentre lo sviluppo osseo che consentirà un adeguato svolgimento del parto si completa solo verso i 15-16 anni. Le ragazzine che partoriscono prima dei 16 anni hanno un rischio significativamente maggiore di parto ostruito o di lesioni da parto, quale in particolare le fistole vescico-vaginale. Questo sfasamento è irrilevante nella cultura occidentale mentre nei paesi a risorse limitate è una problematica di rilievo sanitario in quanto è comune partorire prima dei 16 anni.

Dottor Somigliana? Le avevamo chiesto un pezzo sull’età della fertilità.

Certo, certo. Scusate. Mi sono lasciato trasportare dai ricordi di quando lavoravo ad Aber. In tutte le popolazioni, la fertilità inizia a diminuire lentamente dai 20-25 anni in poi (Figura 2). Questa riduzione diviene rilevante verso i 37-38 anni e a 41 anni, vale a dire 10 anni prima dell’insorgenza della menopausa (51 anni), la possibilità di concepimento è molto difficile. E’ un modello, per cui le fluttuazioni attorno a questi numeri sono normali e possono avvenire in entrambi i sessi. Ognuno di noi conosce donne che hanno partorito a 42-43 anni. Sicuramente, anche se non ne siamo a conoscenza, attorno ad ognuno di noi ci sono donne che hanno cercato figli dopo i 35-37 anni senza esserci riuscite. Come mai questa riduzione nel tempo? In realtà, la fertilità è un concetto strettamente connesso con la riserva ovarica. Ogni bambina nasce con una quota di ovociti (“riserva”) che va progressivamente riducendosi nel tempo. A questa riduzione quantitativa si accompagna anche una riduzione qualitativa per cui col tempo aumenta la probabilità di portare fino all’ovulazione ovociti di scarsa qualità che quindi hanno minori probabilità di fecondarsi ed aumentate probabilità di fecondarsi male (cui corrisponde il noto aumentato rischio di aborto e di anomalie cromosomiche con l’età). Di recente sono emersi dati sperimentali che hanno aperto il sogno di poter in realtà ricostruire questa riserva partendo dalle cellule staminali. Tuttavia, al momento e per molti anni ancora, questo resta e resterà una chimera.

La riduzione della fertilità con l’età è una realtà biologica che si scontra con le regole della Società occidentale che per lo più impediscono alla donna moderna la possibilità di avere figli nella fascia di età di massima fertilità. Non di rado, le donne si trovano a dover procrastinare la ricerca di un figlio dopo i 30 anni e talora anche dopo i 35-40 anni quando, in alcuni casi, la riserva ovarica è irrimediabilmente compromessa. Non è mio compito discutere le complesse ragioni sociologiche alla base di questa situazione. Non ne sarei in grado. Trovo tuttavia inaccettabile il silenzio che circonda questo argomento e ringrazio la Fondazione Giorgio Pardi di avere invece voluto affrontare il problema. La riduzione della fertilità con l’età è un’indiscutibile verità biologica. Purtroppo, la stragrande maggioranza delle donne non ne è a conoscenza o ne ha solo una vaga ed imprecisa percezione. I media sono silenziosi e talora fuorvianti. Di recente ho assistito ad una “splendida” trasmissione pomeridiana dal titolo “Che bello diventare mamme dopo i 40 anni” nel corso della quale nessuno ha ricordato che solo metà delle donne possono in realtà diventare mamme in questa fascia di età. E’ una verità che dà fastidio, che non fa audience. A fare audience invece sono le gravidanze ottenute con le tecniche di procreazione medico-assistita in tarda età, anche dopo i 60 anni. Questi eventi, purtroppo, trasmettono la falsissima idea che le tecniche di procreazione medico-assistita possano essere la soluzione al problema dell’età. Non è così. Non servono a nulla su questo. Quando la riserva ovarica diviene insufficiente, l’unica vera terapia è l’ovodonazione, vale a dire la donazione di ovociti da parte di donatrici (giovani). Questo approccio è estremamente efficace in quanto aggira il problema ed il ricevente si viene a trovare “giovane” come il donatore. In Italia però queste tecniche sono poco accettate (geneticamente il bambino eredita ovviamente i geni del donatore) e per di più vietate.

 

Doctor Edgardo? After the cesar, can you do an ultrasound to my friend Sister Betty because I am afraid she has the disease of the nones?” mi chiede Syster Mary, la suora anestesista dell’Ospedale, entrata in silenzio nella stanza mentre vagavo coi pensieri – “OK. I will”, rispondo. Fatto il cesareo, ritrovo la suora anestesista accompagnata da una consorella che non avevo mai visto prima. E’ l’ora giusta. Sono le 17 e per due ore è acceso il generatore dell’ospedale per cui si possono fare le ecografie. Entriamo nella stanza dedicata, uno stanzino grigio e polveroso con un tavolino sul quale è appoggiato un piccolo ecografo donato da un Ospedale toscano 12 anni prima. Mentre Sister Betty si prepara, chiedo a Sister Mary che cosa è the disease of the nones (la “malattia delle suore”). Mi spiega che sono i fibromi uterini e che la chiamano così perché oltre la metà delle suore del convento sono state operate di fibromi, lei compresa. Gratto con un cucchiaio da raschiamento (strumento usato per gli intervento di revisione della cavità uterina) il fondo del grosso flacone di gel ormai vuoto (ma quando arriva quello nuovo che ho ordinato?). E’ pochissimo ma spandendolo bene basta. Effettivamente, Sister Betty, 27 anni, ha due fibromi di 3 e 4 cm. La rassicuro però. Non c’è motivo di fare un intervento, per lo meno per ora. Se ne vanno allegre. Ritorno ai miei pensieri di prima. Non avevo ancora preso coscienza del fatto che i fibromi dell’utero sono rari qui. Eppure i dati epidemiologici occidentali riportano una frequenza del 40% nelle donne sopra i 40 anni (anche se fortunatamente solo poche necessitano di un intervento) e la razza nera è considerata avere un rischio nettamente superiore. D’altra parte, però, si sa anche che la gravidanza è un fattore estremamente protettivo su questa patologia. Di fatto, con l’involuzione puerperale che fa seguito al parto, tutti i piccoli fibromi presenti (e che nel giro di qualche anno sarebbero divenuti più grandi) vengono distrutti. E così, in Uganda, i fibromi sono the disease of the nones. E non è l’unica malattia ginecologica che qui “manca”. L’endometriosi, una patologia comune da noi e che può causare infertilità, è rarissima. Ho diagnosticato un solo caso in un anno. Ma ancora una volta, non è sorprendente. La malattia è principalmente legata ai flussi mestruali e il fatto di avere così tanti figli e di allattarli tutti per due anni fa sì che le donne qui abbiano 30-50 flussi mestruali nel corso della propria vita e non 300-500 come da noi.

 

“Dottor Somigliana?! E’ andato totalmente fuori tema!”

Ah già. Scusate. Sono andato fuori tema effettivamente… O forse no…

 

 

Certezze: La fertilità si riduce con l’età e in media la donna diviene incapace di concepire a 42-43 anni, vale a dire 10 anni prima dell’insorgenza della menopausa (per approfondire Macklon NS 2006).

Falsi miti: Bisogna esser sinceri e ricordare alle donne che la fecondazione in vitro non è in grado di superare il problema dell’età e della ridotta riserva ovarica. La gravidanza che si ottengono in età avanzata sono da ovodonazione  (per approfondire Van Voorhis BJ. 2007) .

Cosa stanno cercando gli scienziati? La speranza è quella di poter un giorno ottenere ovociti da cellule staminali e divenire così in grado di ricreare la riserva ovarica (per approfondire Woods DC, Tilly JL.  2012).

dott. Somigliana (scopri chi è)


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